Chiesa di Sant’Angelo in Spatha

La fondazione della chiesa risale ad un periodo compreso fra il 1078 e il 1088, quando fu eretta in forme tipicamente romaniche. L’impianto primitivo corrispondeva alla tipologia basilicale a tre navate terminanti in altrettante absidi, in linea con lo schema architettonico diffuso nell’Italia centro-meridionale nell’arco dell’XI secolo. Della fase originaria rimane il muro rivolto su via di S. Angelo, su cui fu poi innestato il fianco della chiesa stessa, nel quale si aprono cinque finestre a tutto sesto ed un portale sormontato da una lunetta con lacerti di affresco. Nel 1092 l’importanza dell’edificio crebbe, con l’elevazione a collegiata (chiesa che disponeva di un collegio di chierici, con posizione di rilevo fra le chiese della città); nel 1145 fu riconsacrata dopo aver subito un primo sostanziale restauro promosso da papa Eugenio III (1145-1153), che dimorò a lungo nel capoluogo della Tuscia.

Il crollo e i restauri

Nel XIII secolo la posizione eminente della chiesa di S. Angelo era ormai riconosciuta, probabilmente per la presenza della platea Sancti Angeli ovvero il grande cimitero antistante, poi distrutto per far posto agli edifici comunali. Il prospetto originario, semplice ed essenziale, caratterizzato dalle linee nitide e cristalline del linguaggio architettonico romanico, rovinò nel 1549 quando crollò anche il campanile posto sul lato destro della facciata. I nuovi restauri cinquecenteschi furono condotti a termine nel 1560, mentre Pio IV (1559-1565) era sul soglio pontificio: il suo stemma mediceo compare infatti sulla facciata accanto al leone – l’emblema della città – e a quello della famiglia Piccolomini, che contribuì a finanziare la ricostruzione della chiesa.

L’interno

L’interno, che oggi si presenta a navata unica rettangolare pur avendo ancora le tre absidi a delimitare la zona presbiteriale, fu radicalmente riformulato nella prima metà del XVIII secolo a opera del Capitolo della Collegiata. Alcune pregevoli opere conservate in S. Angelo in Spatha sono: la tavola con la raffigurazione della Madonna col Bambino, parte centrale del trittico trecentesco della prima cappella a destra, riconducibile al pittore di scuola senese-orvietana Andrea di Giovanni; il crocifisso, anch’esso trecentesco, del terzo altare a destra e la Madonna col Bambino e Santi posta sull’altare maggiore, realizzata da Filippo Caparozzi. Sul lato destro della facciata insiste il sepolcro della cosiddetta Bella Galliana, una giovane viterbese la cui bellezza, secondo la leggenda, era pari alla sua rettitudine morale. Elemento portante del monumento è il sarcofago classicheggiante ornato da una scena ad altorilievo raffigurante la caccia al cinghiale, copia posta in sostituzione dell’originale romano del III secolo d. C. conservato presso il Museo Civico “Luigi Rossi Danielli” della città. Due lapidi con iscrizioni in latino, poste al di sopra dell’arca, ricordano la sepoltura della giovane viterbese, avvenuta nel 1138.